“Quando capisci che la tua passione non sarà la tua professione, hai gia fatto un passo avanti.”
Il ruolo del lavoro nella vita di una persona è uno degli elementi principali che contraddistinguono il nuovo mondo che si sta formando intorno a noi.
Per le generazioni precedenti il lavoro era per definizione un luogo di sofferenza, un male necessario per sopravvivere e garantire sicurezza presente e futura a se stessi e alla propria famiglia. E nella proposizione “per ottenere grandi risultati bisogna lavorare duro”, l’accento era tutto su “lavorare duro” con annessi lacrime, sangue e abnormi sacrifici.
Gli abitanti del XXI secolo, invece, hanno spostato l’accento sulla prima metà della frase: il focus è sulla possibilità di ottenere risultati significativi, ricchi di gratificazione personale e carichi di un senso che vada oltre la busta paga a fine mese o il peso del conto corrente in quanto tale.
I
Millenials sono stati gli apripista in questo: lavorare sì, ma spiegateci perché si debba necessariamente soffrire.
E’ nata così l’epoca del “fai della tua passione il lavoro della tua vita”, perché la passione è il motore di tutto ed è l’ingrediente indispensabile per lavorare con qualità.
Ma è proprio così che funziona?
Paolo Gallo, oggi responsabile delle risorse umane nel World Economic Forum dopo esserlo stato in Banca Mondiale, lancia un avvertimento: più che la passione, ciò che conta è il talento.
E’ da lì che arriva l’energia per fare bene, per raccogliere risultati e gratificazioni, insomma per lavorare secondo le aspirazioni di un’umanità più consapevole e più libera. In
questa intervista, Gallo spiega qual è il ruolo del talento, come riconoscerlo, in che modo si rapporta alla passione, quanto è importante non sacrificare mai la propria libertà al successo. Perché alla fine, “se non fai un lavoro che ti piace la colpa è solo tua”.
Oppure no?
Mattia Rossi