«In Canada c’è una mentalità completamente diversa dall’ Italia. Tutti i miei coetanei avevano un lavoro e si autofinanziavano. Anche io ho deciso di cercarmi un’occupazione, per non essere da meno» .
Alessia Russo*, 18 anni, imprenditrice Z Generation, ha un sogno: cambiare il mondo. Al quinto anno liceo scientifico di Torino, é solo l’esempio più recente di una nuova cultura del lavoro. Racconta di quando lei e il fratello hanno presentato in Italia la loro azienda:
«È capitato che le persone si rivolgessero sempre a Simone e non a me. Lui è il primo che in questi casi puntualizza che la startup l’abbiamo realizzata insieme, che l’idea è mia. La gente pensa che se sei una ragazza non puoi aver creato un’impresa, al massimo hai dato una mano o l’hai ereditata. All’ estero non è così. Conta solo cosa sai fare, il tuo talento»
Non parlerò di quanta speranza e fiducia ripongo in questa nuova generazione di ragazzi – per chi ci segue è cosa nota.
Invece parto da qui per condividere un pensiero che, ormai da anni, porto avanti con Generation Mover: il lavoro non ti viene a cercare, te lo devi creare e, anche se sei dipendente, hai la responsabilità di contribuire ad innovarlo, costruirlo, cambiarlo o – perché no? – crearlo. Servono capacità speciali: fatica, impegno, coraggio, voglia di imparare cose nuove, e soprattutto non smettere mai di studiare.
Queste capacità sono trasversali a tutte le generazioni. Alessia è solo un esempio di come, volendo, si possono cercare opportunità e creare contesti in cui realizzarle. Non si è arresa, è andata avanti ed è arrivata in un Paese in cui le hanno dato fiducia, ma prima ancora l’hanno ascoltata.
Ecco, appunto. L’ascolto e la fiducia. L’ascolto, quello senza pregiudizi reciproci e con la voglia di scoprire qualcosa di nuovo. La fiducia, che è compagna stretta dell’ascolto. Quella che ti fa dire: “però, è interessante questa idea, vale la pena provare”. Il nostro Paese ha perso da anni questi due elementi fondamentali su cui costruire, crescere e prosperare. Ci sono imprenditori, piccoli e grandi, che lo fanno, ma sono pochi, non sono abbastanza.
- Siamo sicuri che la ‘fuga dei cervelli‘ – frase super abusata di questi tempi da noi – sia perché non ci sia lavoro?
- Non è, invece, che a mancare è l’ascolto delle nuove idee e proposte avanzate da chi è più giovane?
- Non è che le proposte italiane fatte ai ragazzi – quando presenti – non sono interessanti?
Le nuove generazioni, e non mi riferisco ai millennials più grandi, a differenza di quelle più adulte vivono una nuova cultura del lavoro: in essa, contribuire a creare lavoro fa la differenza rispetto a ruolo e inquadramento, ed è un contributo che parte dall’ascolto e dalla fiducia.
Le nuove generazioni si inseriscono in un tessuto economico-professionale profondamente mutato, su cui si innesta una cultura del lavoro evoluta basata sulla progettualità condivisa, sulle informazioni accessibili a tutti, e sulla promessa di senso e obiettivi concreti e raggiungibili in autonomia. Certamente non è più una cultura nutrita di compiti specifici e non modificabili, di ruoli e gerarchie, di inquadramenti fissi e di carriere fatte per anzianità invece che per merito.
I ragazzi oggi arrivano ad un colloquio di lavoro preparati come mai prima. Recentemente un grande imprenditore italiano del settore alimentare, con attività estere in Cina e Sud America, mi ha detto : “… oggi i ragazzi cercano un posto, non un lavoro”.
Nel mio lavoro finale al Master in Previsione Sociale presso l’Università di Trento, come futurista, intitolato “Shaping Organizations 2030 – I Megatrends in azienda“, ho chiesto a una decina di HR Manager e Direttori del Personale di grandi aziende italiane e internazionali che cosa era cambiato nelle generazioni più giovani rispetto alla cultura del lavoro. Tutti quanti hanno osservato:
- una preparazione tecnica molto più alta rispetto alle generazioni precedenti;
- idee chiare già in fase di primo colloquio, manifestate ad esempio con la richiesta di previsioni di crescita dell’azienda nel breve;
- domande specifiche su progetti da sviluppare in cui essere coinvolti;
- pianificazione obiettivi di carriera individuali;
- e ancora molto altro, compreso il fatto che il tema ‘assunzione a tempo indeterminato’ non ha più senso se non è legato ad un progetto/sfida condiviso e sviluppato con il nuovo assunto.
Chi lavora con i giovani sa bene che anche se li assumi questo non significa che, a parità di condizioni contrattuali, resteranno.
Partendo da questi assunti, che a molti possono apparire eccessivamente ambiziosi se perseguiti da persone giovani, la mia riflessione non è se essi siano giusti o meno, quanto piuttosto come adeguarvisi e utilizzare la nuova cultura sociale e aziendale che le generazioni più recenti propongono.
Una cultura nuova che certamente non avrebbe potuto verificarsi senza sfruttare il terreno già preparato dalle generazioni precedenti e che, proprio a causa di questo, contiene in sé l’opportunità di ri-creare un senso del lavoro più ‘elevato’ per tutte le generazioni.
Isabella Pierantoni
*Per saperne di più su questa giovane donna trovi l’articolo direttamente qui – Il Sole24Ore Alleyoop
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