C’è qualcosa che fa parte del DNA di Generation Mover ma di cui, ci siamo accorti, parliamo poco, almeno ultimamente. Invece è una competenza fondamentale, perché riguarda le abilità relazionali e quindi proprio la costruzione dei ponti intergenerazionali. Parliamo di una competenza di cui si parla molto, in giro, non di rado a sproposito: il coaching.
A richiamarci all’ordine è stato questo articolo di Osservatorio Senior, in cui l’autore evidenzia come proprio le funzioni di coach e di mentor siano strumenti che possono rendere possibile la convivenza e la collaborazione tra generazioni lontane. Siamo d’accordo, a patto però di intenderci bene sul significato dei termini.
Tutti noi che collaboriamo al progetto di Generation Mover, nato nel 2009, abbiamo una pluriennale esperienza di coaching con manager e figure apicali nelle organizzazioni. Intendiamo quello codificato dalla International Coaching Federation (vedi qui), cioè qualcosa di radicalmente diverso da quel “motivatore” che ancora troppo spesso viene evocato.
Un coach è un esperto della relazione e in quanto tale costruisce una partnership con i clienti per stimolare la riflessione, ispirandoli a massimizzare il proprio potenziale personale e professionale. Una relazione di questo tipo tra un senior e uno junior in azienda è una potente risorsa che scaturisce dalla compresenza di generazioni diverse.
Competenze di coaching
È importante chiarire bene un punto, tutt’altro che secondario: un manager nell’esercizio delle sue funzioni non può essere un coach in senso stretto dei propri collaboratori, poiché in quanto responsabile delle attività mantiene uno spazio direttivo incompatibile con la postura neutrale del coach vero e proprio. Tuttavia, può – e oserei dire che oggi deve – acquisire le competenze di base di un coach professionista:
- l’ascolto profondo
- le domande di sviluppo
- il feedback efficace
- l’assenza di giudizio
Le competenze di coaching permettono di trasformare il problema della diversità generazionale in opportunità: essere in grado di aprirsi all’altro, comunicare realmente, comprendere le differenze, valorizzare non solo le competenze ma anche le potenzialità individuali.
Mentoring e reverse mentoring
Se le competenze di coaching facilitano gli scambi tra le persone, il mentoring rappresenta il passaggio di conoscenze ed esperienze da una generazione all’altra.
Nel passato, bastava essere più anziani in senso anagrafico o professionale per essere mentor dei più giovani, trasferendo conoscenze ed esperienze e fornendo loro role model di riferimento. Nel mondo contemporaneo, invece, il mentoring può essere bidirezionale, poiché anche i più junior possono avere qualcosa di molto utile da insegnare – e qui si parla di reverse mentoring. In quanto nativi digitali, i giovani sono portatori di almeno due ordini di contributi.
- il mindset digitale, che implica una concezione radicalmente diversa del senso e dell’organizzazione del lavoro;
- le competenze esecutive, cioè famigliarità con i tool e facilità di vedere le innovazioni anche quotidiane.
Insomma: in un ambiente in cui le relazioni interpersonali sono rese fluide e costruttive dalle competenze di coaching, il mentoring può garantire la trasmissione di expertise agli junior e l’aggiornamento continuo ai senior. È a questo che servono i ponti intergenerazionali.
Mattia Rossi, marzo 2025
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