In queste sere d’estate, in cui si riscopre il nostro attaccamento alla ‘madre patria’ grazie al calcio, ho deciso che era ora di introdurre i miei figli a un rito immancabile: la visione delle partite di calcio (quantomeno negli eventi di interesse nazional-popolare).
La prima partita l’abbiamo vista metà in gelateria, tra coni troppo ricchi e immancabili gocce di gelato sulla maglietta pulita, e metà a casa. Il tifo da gelateria è stato educato, composto, silenzioso. A casa il secondo tempo si è consumato tra tifo in punta di divano, sempre con toni bassi e moderati (anche perchè qualcuno nel frattempo si era addormentato).
Per la finale avevo deciso di portare i bambini al bar, quello vero, dove il pathos si taglia con il coltello e ci sono più birre che acqua tonica: ieri sera sono uscita fiduciosa e ho pensato che trovarne uno sarebbe stato facile. E invece non è stato così: i posti che che offrivano la visione della partita erano pochi e si poteva entrare solo se si era prenotato per tempo, preferibilmente per una cena completa e non solo per sorseggiare una birra.
Cosa sta succedendo allo sport “da vedere“? Dove sono gli striscioni, i cappellini, le sciarpe e le trombette da stadio? Che fine hanno fatto i boati esultanti dopo ogni gol? E il giro in auto post partita?
La verità è che il pubblico da divano invecchia e i giovani non sono interessati al vecchio format del “mi siedo a guardare la partita, per le prossime due ore non ci sono per nessuno“: i più giovani ‘centennials’ – a metà tra millennial e Z Generation – non perdono una fetta così cospicua del loro prezioso tempo concentrandosi solo sulla partita, ma dividono la loro attenzione tra gioco e social, videogame e nuove piattaforme di streaming. Angelo Carotenuto lo ha chiamato Sportify: lo sport nell’era social.
In America, ovviamente, hanno già misurato questo cambiamento e qualcuno ha attuato un contropiede che sta funzionando bene: la NBA ha sviluppato una app che offre tantissimi contenuti diversi, così da appagare i bisogni di una fetta di popolazione molto ampia e inclusiva dei più giovani, che allo sport si interessano sempre meno.
Se il fenomeno americano è noto da tempo, più recenti sono i risultati del sondaggio ‘Fan of the Future’, proposto da ECA (l’associazione dei club di calcio europei): il 27% dei Millennials intervistati dice testualmente «di non avere alcun interesse per il calcio» e il 13% di odiarlo. Il 29% dei ragazzi della Z Gen dice di aver smesso di seguire il calcio «perché ho di meglio da fare».
Una cosa di sicuro accomuna i giovani di queste generazioni: pochissimi guardano la TV, nel senso classico del termine. Hanno sviluppato una capacità estremamente selettiva di interessarsi alle cose, scegliendo e selezionando i contenuti in modo quasi maniacale.
Il che non vuol dire che stiamo diventando un Paese di pigri, anzi, siamo sempre più attivi e attenti al benessere in senso generale, ma abbiamo semplicemente perso interesse nel guardare le partite o le gare, esclusi i grandi match (pare): seguire lo sport sta diventando sempre di più un’esperienza social, che avviene con un secondo schermo (tv più telefonino) acceso per commentare, consultare app, cercare statistiche in tempo reale, o magari commentare online la partita mentre si fa altro.
Che futuro sportivo ci aspetta?
L’idea, in un futuro non tanto remoto, è che anche le immagini della partite arrivino direttamente dai social o da app, che i contenuti arrivino già selezionati, per offrire un’esperienza personalizzata e unica. Lo ha detto meglio di tutti il CEO del Liverpool, Peter Moore, al quotidiano spagnolo El Pais: dal suo punto di vista l’avversario più pericoloso non è il Manchester City di Guardiola, ma Fortnite, il videogioco.
Solo un paio di generazioni fa, vedere la partita insieme alla propria famiglia (prima) e agli amici (poi), era un immancabile rito di passaggio, un momento cardine della crescita individuale da condividere. Oggi l’offerta di “esperienze” è talmente ampia che questa non è che una delle tante, infinte, che si possono fare. E così, alla fine, perde un
po’ della sua magia.
In più si mette di traverso anche il tempo, o meglio la gestione del tempo, ne abbiamo sempre meno, soprattutto i giovani, così ipertecnologici, con una scelta ampia di eventi a cui assistere o partecipare che lo sport resta solo uno dei tanti, e nemmeno così immediato da comprendere e amare.
I primi cambiamenti arrivano dal gioco stesso: alcuni hanno cambiato le loro regole per diminuire i tempi morti e aumentare quelli di gioco, andando nel complesso a limare diversi minuti sulla durata complessiva della partita. Dalla pallavolo al tennis, passando per il cricket, negli ultimi anni, i cambiamenti non sono di certo mancati. Le proposte arrivano a 360°: dalle Federazioni stesse passando per i tifosi, ognuno – soprattutto al tempo dei social – dice la sua.
Ma in sostanza cosa vogliono i fan sportivi del futuro?
Molte delle idee arrivano dagli Z gen, che tra FIFA, PES, Nba 2K e tutti i videogiochi sportivi che consentono loro di conoscere skill, dati e statistiche di ogni giocatore, sono molto più preparati rispetto al passato e quello che vogliono dallo sport, oggi, è piuttosto chiaro: prodotti digitali nuovi, app, highlights personalizzati (es: 5, 10 o 20 minuti della giornata) e condivisibili, un accesso facile alle immagini, possibilmente direttamente dai social, magari con alert che avvisano quando succede qualcosa di importante perché, nel frattempo, stanno giocando una partita a Fortnite ma essere i primi a commentare – con gli amici on line – un’azione spettacolare, un punto o un gol, è sempre una gran soddisfazione!
Francesca Praga
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