Come sarà il mondo futuro? Ne abbiamo parlato con Roberto Paura, presidente dell’ Italian Institute for the Future (IIF), fondato nel 2013 a Napoli.
Lavorare con le generazioni, e studiarle, significa conoscere le ragioni, le motivazioni, i bisogni, le aspirazioni che muovono le persone nei luoghi di lavoro e nella vita privata. Per le generazioni più giovani questo significa prolungare lo sguardo anche a quel domani verso il quale esse si tanno dirigendo.
Come si presenteranno le strutture sociali, gli ambienti di lavoro, le relazioni tra le persone, i capisaldi dell’economia? La risposta a queste domande dipende in misura significativa dalle consapevolezze che coltiviamo e dalle decisioni che prendiamo oggi, a partire dalle prospettive e dalle chiavi di lettura con cui ogni generazione contribuisce al presente e allo sviluppo verso il futuro. Ecco che quindi studiare e lavorare nel flusso del divenire generazionale ci porta come conseguenza naturale a occuparci anche degli studi sul futuro.
Che cosa è l’Italian Institute for the Future? Qual è la sua missione?
L’IIF nasce con l’idea di portare in Italia le metodologie dei future studies e di introdurre il concetto dell’anticipazione nei processi decisionali delle aziende e dei decisori politici, fino alla dimensione individuale. Ci siamo ispirati a esperienze internazionali ormai pluridecennali, come il californiano Institute for the Future o il Club di Roma.
Qual è il segreto dei futurologi? Come si fa a prevedere il futuro?
La verità è che non c’è nessuno segreto: il futuro non si può prevedere. Quello che fa il futurologo è individuare i megatrends che stanno cambiando la società e anticipare gli scenari che si possono verificare sul lungo termine. E attenzione: questo “lungo termine” può corrispondere ad archi temporali molto diversi tra di loro, in funzione del settore preso in considerazione. Per esempio: l’innovazione tecnologica è caratterizzata da una evoluzione piuttosto veloce, mentre i fenomeni demografici o culturali e generazionali si sviluppano per loro natura in tempi più lunghi. Quindi l’orizzonte temporale di uno studio può andare dai 10 ai 50 anni. Nella pratica, l’attività consiste principalmente in ricerche, conferenze, workshop, pubblicazioni.
La tua pubblicazione più recente è il libro “La singolarità nuda”. Il titolo suona originale e intrigante, ma… che cosa vuol dire?
E’ un concetto derivante dalla fisica teorica: una singolarità è un punto dello spazio in cui la densità della materia tende all’ infinito, con la conseguente distorsione dello spazio-tempo, che collassa. E’ quanto accade al centro dei buchi neri, dove però la nostra osservazione non può arrivare a causa dell’orizzonte degli eventi che ci copre la visuale. Senza questo “schermo” la singolarità è nuda, il che significa che la possiamo vedere, cioè possiamo percepire gli effetti distorsivi sulla realtà. Fuor di metafora: dietro l’apparente schermo della razionalità, nel nostro mondo permane molto forte un’irrazionalità diffusa, ed è qui che nasce l’idea di questo libro.
Ad un certo punto, infatti, mi sono reso conto che molti dei miei articoli, usciti negli ultimi anni in testate diverse su argomenti diversi, avevano un fattore comune: il limite del pensiero razionale contemporaneo. Cioè: nel pieno di un’era iper-tecnologica qual è la nostra, resta ancora una forte base fideistica e irrazionale che spinge individui e società verso un orizzonte di totale imprevedibilità.
“E’ ancora vitale ad esempio un approccio di tipo apocalittico, analogo a quello che siamo abituati ad attribuire al Medio Evo, che nella nostra epoca si nutre della paura della tecnologia, del rischio di una fine del mondo che l’uomo stesso potrebbe concretamente causare.”
Oppure si veda il transumanesimo, che nasce dal milieu culturale della Silicon Valley – quindi in quello che dovrebbe essere il cuore del pensiero razionale per eccellenza – e diventa religione, con sviluppi imprevedibili. In certi ambienti, dalla tecnologia ci si aspettano letteralmente miracoli: non solo la cura delle malattie più diverse e terribili, ma addirittura la possibilità per l’uomo di conquistare l’immortalità. E si arriva a parlare di “singolarità tecnologica”, cioè di quel momento in cui la potenza di calcolo dell’Intelligenza Artificiale (AI) sorpasserà le possibilità del cervello umano: sarà una svolta definitiva nella storia dell’universo, un punto di non ritorno che segnerà l’inizio della supremazia della macchina sull’uomo.
E in questa visione c’è una componente fideistica importante: in realtà non ci sono elementi che autorizzano una posizione così radicale. La singolarità avverrà, oppure saremo comunque in grado di governare questi processi? Non si sa, non è sicuro, dare per scontato un certo esito è un atto di fede.
Il futuro non è uno sviluppo lineare puramente razionale e quindi prevedibile con certezza matematica. I fenomeni politici ed economici evolvono sotto gli influssi contrastanti delle radici culturali, delle diversità di mentalità sociali e generazionali, delle aspettative e dei timori irrazionali ed emotivi degli esseri umani. Oggi la complessità del reale è diventata evidente, ma altrettanto forte è la percezione della difficoltà estrema nel fronteggiare questi fenomeni: abbiamo la possibilità concreta di fare danni enormi, se non addirittura di distruggere il pianeta, con gesti semplici e quotidiani, ma non conosciamo strumenti, non abbiamo processi decisionali globali adatti a governare questa complessità.
Che cosa possiamo fare per uscirne vivi?
Fare appello al valore aggiunto dell’essere umano: coltivare la capacità dell’essere umano di governare le dinamiche complesse, che sono fatte di tante variabili non tutte prevedibili. Le aziende pensano di avere già tutti i dati utili: invece, vanno tenuti presente un certo numero di fattori esterni e soprattutto il fattore umano con la sua irrazionalità e imponderabilità.
“L’automazione occupa lo spazio del lavoro iper-specializzato, ma la capacità di governare la complessità resta una prerogativa umana. E’ questa la grande competenza destinata a fare la differenza, già oggi e sempre più nel futuro.”
Mattia Rossi
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