Il trend è innegabile, forse irreversibile nel breve periodo. Per ogni giovane che arriva dai Paesi avanzati emigrano 8.5 italiani, un numero che supera di gran lunga l’arrivo di giovani stranieri in Italia.[1]
Oggi, un giovane italiano su tre (Z e Alpha Gen) sogna di vivere all’estero attratto da condizioni di vita e di lavoro che nel nostro Paese sono sempre più difficili da raggiungere. Non è più solo una tendenza passeggera, ma un vero e proprio orientamento generazionale che sta ridisegnando il tessuto sociale ed economico del nostro Paese. Questo esodo è più che un fenomeno statistico, è una chiara ricerca di opportunità e stabilità che i giovani italiani sentono di non poter ottenere in Italia, un orientamento molto lontano dallo stereotipo del giovane che non ha voglia di ‘faticare’ o ‘sacrificarsi’.
Ma quali sono le ragioni profonde di questo esodo e come trattenere i nostri giovani? Come rendere l’Italia un Paese in cui tornare a sognare e a costruire il proprio futuro? Soprattutto, quali le possibili soluzioni?
Come stanno le cose: la realtà dei numeri
Siamo a un bivio, e i numeri sul calo demografico lo confermano. L’Italia è un Paese con una popolazione sempre più anziana, anche nel mondo del lavoro, con sempre meno giovani e quelli che ci sono, sempre di più, se ne vogliono andare.
Il quadro che emerge dai dati recenti è chiaro:
- Oltre il 40% dei laureati sceglie di lasciare l’Italia, in particolare partono da regioni tradizionalmente “ricche” come Friuli-Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia-Romagna.[2]
Se neanche le regioni più prosperose riescono a trattenerli allora bisogna creare un ambiente che i giovani non vogliano lasciare. Servono politiche che incoraggino l’occupazione e la crescita professionale, incentivi per i giovani imprenditori e, soprattutto, una vera e propria rivoluzione culturale e sociale. È necessario un impegno comune, in cui Stato, imprese e società civile, università e scuole si uniscano per generare opportunità concrete e condizioni di vita dignitose a prova di presente, oltre che di futuro, in cui i ragazzi possano sentire che valga la pena restare al fine di costruire futuro con il loro apporto.
- In Italia, solo il 51% dei diplomati si iscrive all’università e, tra questi, appena il 53% si laurea entro i tempi previsti, contro una media OCSE del 68%.[3]
- Nonostante il calo, nel 2022 il tasso italiano di abbandono scolastico del 11,5% resta sempre sopra la soglia europea del 9,6%[4]
L’istruzione, ormai, è un ‘vuoto a perdere’: l’investimento del sistema educativo italiano – scuole superiori e università – è solo un costo se i giovani se ne vanno, un investimento di cui beneficiano altri paesi, una perdita non solo per chi non ha motivo di studiare – vedi il tasso ancora alto di abbandono scolastico – o di chi, pur essendosi iscritto all’università non riesce a laurearsi, ma anche per il Paese nel suo complesso, che perde ogni anno risorse potenziali in una situazione di ricambio generazionale già fortemente compromessa.
E poi ci sono gli EET: i giovani imprenditori, a prescindere.
Sta emergendo un trend meno raccontato: gli EET (Employed, Educated and Trained)[5], in controtendenza con la narrazione dominante sui NEET (Not in Education, Employment or Training).
Sono giovani imprenditori che scelgono di rimanere in Italia e fare impresa contribuendo al rilancio del Paese, in questo scenario sembrano quasi un’apparizione. Sono 144.000 under 30 (35% al Sud) che, attraverso l’autoimprenditorialità, innovano settori strategici come comunicazione digitale, pubblicità, ricerche di mercato, consulenza aziendale, gestionale, informatica… spiazzando la concorrenza delle generazioni precedenti. Dal 2017 [6] Studio Censis e Confcooperative, le imprese giovanili italiane in questi ambiti sono triplicate, nonostante un contesto strutturale di sistema complicato e difficile.
Il lato oscuro però c’è: la polarizzazione del mercato del lavoro giovanile. Il tasso di occupazione dei giovani laureati è aumentato del 3,1%, mentre quello dei giovani meno scolarizzati è calato del 2,7%, soprattutto in alcuni ambiti come la sanità e dall’assistenza sociale (-40.2%), ma anche nelle attività ricreative (-308%), nel commercio e nella ristorazione.
Problemi e soluzioni: la “fuga dei cervelli” non è un fenomeno casuale, ma il risultato di fattori strutturali
- Problemi
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- Sempre meno giovani nella popolazione con gravi impatti sul ricambio generazionale nel lavoro e per la stabilità del sistema e delle pensioni (non si escludono tagli alle pensioni)
- Mercato del lavoro iniquo tra i generi, poco dinamico e meritocratico
- Retribuzioni inferiori rispetto ad altri paesi europei
- Poca conoscenza delle reali sfide globali all’orizzonte dei nuovi orientamenti valoriali generazionali e poca apertura mentale da parte di manager e imprenditori
- Limitata mobilità sociale e flessibilità lavorativa
- Scarsi investimenti in ricerca e sviluppo e nelle università da parte di privati e istituzioni
- Burocrazia complessa per chi vuole fare impresa e mancanza di politiche fiscali agevolate per startup giovanili
- Soluzioni
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- Retribuzione eque e competitive con l’Europa, in cui donne e uomini abbiano la stessa retribuzione
- Potenziare il collegamento università-imprese per facilitare il passaggio dall’università al mondo del lavoro
- Apertura allo scambio e integrazione-inclusione di modelli culturali e socio-economici internazionali possibili con l’attrazione, e non esclusione, di giovani da tutto il mondo
- Riformare i modelli educativi e didattici con l’introduzione attiva e non ideologica di materie STEM
- Creare programmi di formazione-sviluppo e di RE-UP Skilling per tutte le fasce d’età, che attraggano non solo i giovani italiani sul territorio o all’estero, ma anche risorse da tutto il resto del mondo
- Ambienti di lavoro diversity oriented, più inclusivi e stimolanti
- Politiche di welfare aziendale distinte per fascia d’età, ESG e healthy-oriented
- Apertura all’immigrazione senza distinzione di età orientata alla gestione delle presenze sul territorio e non alla deportazione
Il futuro dei giovani italiani e dell’Italia dipende dalle decisioni di oggi
Il fenomeno della fuga dei giovani si intreccia inevitabilmente con il calo demografico, creando un circolo vizioso che compromette, e lo farà sempre di più, la sostenibilità del sistema paese. La sfida che abbiamo davanti è complessa ma non impossibile.
C’è poco tempo per costruire un’Italia diversa ma richiede un cambio di mentalità collettivo, una visione a lungo termine e un impegno concreto per ridefinire un ambiente nel quale giovani e adulti, di ogni età e provenienza, possano non solo crescere e vivere, ma anche sognare e realizzare i propri progetti.
La vera sfida non è fermare chi vuole partire, ma creare le condizioni perché restare, arrivare o tornare sia una scelta desiderabile e non una rinuncia.
Isabella Pierantoni
Il titolo di questo articolo prende spunto dalle parole del prof. Gubitta, che ringrazio e con il quale ci siamo trovati tra i relatori dell’evento “Il CENACOLO dell’impresa” di Confindustria Veneto, in un interessante scambio dedicato a AI e industria umanocentrica. Inoltre, grazie anche a Gianluca Toschi e gli amici della Fondazione NordEst che mi hanno coivolta nell’evento ‘L’impresa del futuro’ di OBR Veneto per la presentazione del rapporto ‘Monitoraggio valutativo 2023’, anche questo fonte ispirativa per i dati di questo articolo.
Fonti
[5] https://www.avvenire.it/economia/pagine/giovani-imprenditori-innovativi-eet-confcooperative-censis
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