I mali della scuola italiana, di chi è la responsabilità?

Sarà che è tempo di #pagelle e di #esamidimaturità, ma nell’ultimo periodo, emergono, gravissime situazioni di #malcomportamento degli insegnanti e #cattivagestione degli stessi da parte dei #dirigentiscolastici, con qualche minimo indizio di attenzione da parte delle istituzioni.

Sempre più casi di disagio da parte di studenti e famiglie arrivano sui giornali e vengono diffusi, diffondendo l’esistenza di comportamenti poco edificanti da parte di chi lavora nel settore dell’istruzione. Per non parlare dei temi di bullismo, su cui la sensibilità è certamente aumentata ma sono ancora troppo presenti e frequenti nei corridoi scolastici, episodi dei quali spesso gli educatori e gli insegnanti non si accorgono.

IL PRESENTE

L’ultimo caso apparso sui quotidiani è del 28 giugno 2023: un ragazzo di 12 anni, a Verona, bullizzato dai compagni di classe per le cicatrici riportate in un gravissimo incidente, costretto a cambiare scuola nonostante la richiesta di aiuto fatta dai genitori all’istituto. I suoi ex-compagni sono stati promossi con 9 in condotta. Il ragazzo nella nuova scuola, in cui arrivava con un drastico calo di rendimento e disagio psicologico, dopo anni di buon rendimento, è stato promosso con 8.

Sono tante le situazioni segnalate dalle famiglie. Ma ci sono anche insegnanti e dirigenti scolastici che pensano ai ragazzi affetti da #DSA come imbroglioni oc on poca voglia di studiare (di poco tempo fa il caso della preside di un istituto che, in una mail inviata a una collega, scriveva: “… a maggio fioriscono i certificai DSA…”); oppure, situazioni di vessazione da parte degli insegnanti su singoli alunni, umiliandoli in classe con denigrazioni continue, magari già a inizio anno del tipo “Quest’anno devo bocciare almeno uno di voi, tocca a te“; o ancora, studenti che pur essendosi impegnati tanto non vedono riconosciuto nemmeno l’impegno, al di là del rendimento. O ancora,  studenti che dopo aver superato l’esame di riparazione, al rientro in classe per l’inizio del nuovo anno scolastico si sentono dire “Ce l’hai fatta stavolta, ma il prossimo anno te lo scordi” davanti a tutta la classe. E si potrebbe andare avanti. Quando poi i #genitori chiedono chiarimenti ai coordinatori di classe, non è rara la risposta “Ma no, non sarà così, a volte gli insegnanti usano questi metodi per motivare i ragazzi!”.

È facile, e lo è sempre stato nel tempo, dire che la colpa dei fallimenti scolastici degli studenti a livello di rendimento o di comportamento dipende dai ragazzi, oppure dalle famiglie che li seguono troppo o troppo poco.

Con il nostro lavoro, sempre di più nell’ultimo decennio, ci è capitato di entrare nelle scuole, e sono molte le testimonianze di giovani che hanno espresso difficoltà di relazione con gli insegnanti.

Per ogni ragazzo che si lascia andare, che non si impegna nello studio – e gli adulti tutti dovrebbero avere il coraggio e la responsabilità di chiedersi perché – , ce ne sono molti altri che si impegnano moltissimo ma, spesso, questo impegno non viene riconosciuto. Ci sono famiglie che si sono sentite dire dall’insegnante della materia in cui il figlio è in difficoltà che “le ripetizioni private non servono, tanto tutti i prof che danno ripetizioni private vi diranno sempre che vostro figlio è bravo e fa progressi!”


Ci sono, per fortuna, moltissimi insegnanti eccellenti e appassionati, che investono personalmente, anche a livello economico, sulla loro formazione continua nel ruolo di educatori e insegnanti, che si mettono in gioco con i ragazzi, sono attenti, li ascoltano, esplorano nuovi metodi per motivarli e coinovolgerli, li supportano. Tuttavia, nella scuola italiana visti i risultati delle prove INVALSI, o dei test PISA, e l’abbadono scolastico  qualcosa che non va c’è. E’ tempo di ascoltare gli studenti di ogni età, e cominciare, anche, da qui.


Il 30% di NEET  – l’Italia ha questo triste primato a livello europeo -, ossia ragazzi non inseriti in nessun percorso di studi o di ricerca di lavoro. Il dato del 12,7% dei giovani italiani che tra i 18 e i 24 anni nel 2021 hanno abbandonato precocemente la scuola, fermandosi alla licenza media, pone l’Italia tra gli ultimi paesi europei in termini di attrazione a livello di istruzione (media europea del 9,7%). E’ davvero tutta colpa dei ragazzi? O delle famiglie?

IL FUTURO

Esiste una resistenza al cambiamento in alcune parti, non tutte per fortuna, delle istituzioni scolastiche, che si traduce ad esempio nel divieto sull’utilizzo degli smartphone, dell’ Intelligenza Artificiale, nell’applicazione di nuovi metodi di apprendimento, nella scarsità delle risorse dedicate a quella parte di italiani già così ridotta nel numero- i giovani sono pochi in Italia- che però viene insistentemente chiamata ‘futuro del paese’. Nell’ostinazione a non voler affrontare temi che i giovani studenti vivono quotidianamente perchè diffusi come comportamenti nel loro gruppo generazionale, come ad esempio: #teoriagender, #educazionesessuale, #sciencelabatschool, #machinelearning, #coding, #ingleseobbligatorio e altro.

I ragazzi di oggi stanno studiando e preparandosi per un futuro che pochi riescono a intravvedere, anche se occorre essere informati non è meno importante conoscere la propria epoca, saperla leggere e comprendere al fine di poter imparare a immaginare un futuro che nessuna delle generazioni precedenti avrebbe mai solo potuto intercettare data la velocità dei cambiamenti in corso. Solo così si possono preparare giovani e adulti di ogni età, in modo sostenibile, etico e prosperare.

4 Anni fa era inimmaginabile la rivoluzione in corso nei modelli organizzativi del mondo del lavoro, una rivoluzione che ha trovato impreparati imprenditori e istituzioni. Eppure i segnali c’erano, a saperli vedere.

Soluzioni e alternative a questa situazione ci sono, #UNESCO e #UE  e molte #scuole-istituzioni continuamente esplorano, sperimentano, studiano, offrono strumenti invitando i governi a lavorare su questi temi, ma richiedono una visione ampia e condivisa, una rivoluzione per dirla tutta, che significa rimettere mano alla riforma scolastica, per esempio cominciando a valutare su diversi livelli, anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici, ne avremo il coraggio?

 

Isabella Pierantoni

 

Nota: i riferimenti alle fonti sono nell’articolo con link.

 


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