Il futuro dell’Italia? A prima vista appare piuttosto chiaro e inesorabile, guardando i dati delle ultime rilevazioni Invalsi. Oppure no? I risultati relativi all’ultimo anno di scuola dei ragazzi di 18 anni sono espliciti. Evidenziano quasi un trend, a voler parlare da futurista, però è un trend che non ha un bell’aspetto o un orizzonte roseo.
L’Italia ha già meno Millennials di tutti gli altri paesi europei, se poi aggiungiamo che i ragazzi più giovani della Z Gen (9/24enni) – quelli oggetto della rilevazione in questo articolo – sono anche i meno preparati rispetto alle precedenti generazioni, la domanda sul futuro di un paese diventa implacabile:
quale futuro si sta preparando per una nazione che non si occupa del calo dell’istruzione nelle generazioni più giovani?
I ragazzi perduti
Sicilia, Sardegna, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Molise e Lazio. Queste le regioni italiane in cui 1 studente su 3 , pur avendo il diploma, ha le stesse competenze di uno di terza media. In questa analisi sono compresi sia quelli che arrivano al diploma sia quelli che lasciano prima. E’ il fenomeno della ‘dispersione scolastica implicita’ citato da Roberto Ricci nel rapporto.
È un numero altissimo. Se poi li uniamo a quelli che lasciano la scuola senza finire le superiori, il quadro è davvero preoccupante. Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna. Sono i famosi Neet (Not in Education, Employment, Training), un primato che l’Italia ormai da anni detiene e, purtroppo, cresce: più del 23%.
Si dipinge un fenomeno che tanto fenomeno non è se riguarda un numero così rilevante di giovani italiani. Sono i ragazzi e le ragazze che non solo scelgono di non continuare a studiare, ma che addirittura se arrivano al diploma lo fanno con un livello di apprendimento così basso che alla fine “fanno fatica per nulla”, visto che dopo cinque anni di scuola superiore il loro livello di alfabetizzazione e cultura è vicino a quello dei colleghi più giovani delle medie.
Eppure questi ragazzi sono intercettabili prima, a volerlo fare, esattamente dalle medie. È proprio in questa fase della vita scolastica il limite ultimo di intervento per dare una chance anche a chi ha più difficoltà. Dopo è troppo tardi, perché il ritardo nell’apprendimento delle competenze base, per avere successo più avanti, diventa incolmabile proseguendo negli studi superiori.
Gli strumenti ci sono e anche la buona volontà di molti insegnanti. E’ la riforma del sistema scolastico che manca davvero.
Tanto per andare sul concreto: ancora oggi la composizione delle classi, in qualche regione o istituto, viene fatta per provenienza e censo (cit. articolo); oppure, per citare un altro esempio, oggi ad avere accesso gratuito ai corsi di formazione e aggiornamento didattici sono solo gli insegnanti di ruolo, spesso over 55. Questo rende di fatto difficile, per motivi economici, l’aggiornamento anche a chi non è di ruolo ma lavora come insegnante.
Come si può innovare e ripensare un modello educativo fermo al secolo scorso? E soprattutto, come si può fare in tempi brevi?
Aggiungendo anche il tema dei ragazzi preparati che, invece, vanno all’estero, l’orizzonte futuro sia nel breve che nel lungo periodo davvero non si presenta bene.
Sto pensando al 2030 che praticamente è già qui.
Potrebbe essere un tema delle nostre CPF in partenza a gennaio 2020.
Se sei una scuola contattaci.
Isabella Pierantoni