#Lavoro: smetto quando voglio!

Si sta diffondendo un nuovo stereotipo legato alla sfida multigenerazionale e che è legato alla difficoltà di trovare personaledi trattenerlo per più di due o tre anni, e motivarlo.

In Italia è ormai un’emergenza nazionale in ogni settore di mercato e area professionale, gli imprenditori faticano soprattutto con i giovani che hanno in mano le nuove competenze.

Il fenomeno è talmente diffuso nelle generazioni più giovani che da qualche anno è nata la definizione di Job-hopping[1]: letteralmente, in inglese, significa saltare da un lavoro all’altro velocemente, un comportamento rilevato nei paesi in cui il tasso di disoccupazione è più basso, come negli USA.

In Italia, i job-hopper under40, nel 2021 erano circa 1 milione, (Randstat[2]) . Tuttavia, forse è più corretto parlare di evoluzione di un fenomeno sociale e professionale iniziato sui social un decennio fa, Anti-Work, e che ha posto le basi per rimodellare il senso e il significato del lavoro nella vita delle persone. Una presa di posizione innescata dai più giovani che non ha a che fare con la possibilità di trovare facilmente altri lavori, quanto piuttosto cercare valori più sostenibili e di senso, oltre a compensi giusti senza restare a perdere tempo in contesti lavorativi non percepiti positivamente.

In Italia, questo fenomeno è più rilevante per il fatto che questo comportamento si combina con il calo demografico che ormai si traduce  nella mancanza di giovani formati e preparati nel mercato del lavoro, generando una significativa criticità economica e produttiva del sistema, molto più grave che negli altri paesi europei.

Il risultato è il diffondersi e il rafforzarsi degli stereotipi legati ai giovani, sempre più percepiti come: non disposti a sacrificarsi per lavorare, non si accontentano, vogliono troppo, non sono riconoscenti e così via.

MA LE COSE STANNO PROPRIO COSI’?

Se negli ultimi decenni i sistemi sociali ed economici, aziende e imprenditori, hanno fatto orecchie da mercante alle richieste delle generazioni più giovani del XXI secolo ora arriva il conto, ed è salato. A livello globale, la Z generation sarà la più numerosa sul pianeta entro il 2030. Tranne che in Italia. I dati relativi alla crescita degli occupati evidenziano che ad aumentare sono i lavoratori anziani, mentre restano al palo i più giovani. In una economia come quella italiana in cui, se anche aumenta l’occupazione, la crescita resta ferma, qualcosa che non va evidentemente c’è e va oltre il mero sistema economico-produttivo e mancanza di giovani.

Un elemento prepotente in questi movimenti è proprio il cambiamento del significato del lavoro, innescato dalle nuove generazioni e accelerato dall’esperienza pandemica, durante la quale persone di ogni età hanno rivalutato priorità-bisogni-benessere-salute mentale, che si è diffuso a livello intergenerazionale.

Tutte le ricerche degli ultimi anni concordano su quali fattori[3] spingano le persone a valutare altre proposte: ambiente di lavoro ostile, salute mentale, facilità di accesso alla sede aziendale e-o vicinanza al posto di lavoro, retribuzione economica, crescita professionale e carriera, valori oramai diffusi a livello intergenerazionale ma con un peso maggiore per i più giovani.

Emerge un quadro in cui le diverse generazioni nel mondo del lavoro, alla fine, condividono gli stessi valori [4], quando questi hanno senso.

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E RIMODELLAZIONE DEI VALORI E DELLE PRATICHE DI LAVORO

Non sono solo gli under40 a dimettersi velocemente, ma anche i più adulti cambiano più facilmente lavoro, del resto in un paese in cui i lavoratori sono i più anziani d’Europa, i giovani sono pochi e le aziende hanno bisogno di personale la caccia a chi c’è già è aperta! Resta il problema delle nuove competenze che i senior hanno meno. Ma le aziende più lungimiranti se ne stanno già occupando con attività formative di up-skilling e re-skilling.

Oggi, giovani e professionisti di tutte le età cercano un equilibrio lavoro-vita migliore, preferendo flessibilità e un ambiente positivo. Il concetto del lavoro come unica priorità è superato: le relazioni tossiche e lo stress non sono più accettabili. In un’era di tecnologia e intelligenza artificiale, le opportunità sono in continua evoluzione, consentendo nuovi modelli di lavoro e una maggiore personalizzazione e parcellizzazione delle attività che caratterizzano un ruolo professionale, giustificando la richiesta dei lavoratori per una maggiore flessibilità oraria nella presenza fisica sul posto di lavoro.

La mentalità che il lavoro conta più di tutte le altre parti della vita di una persona ormai è disancorata dalla realtà e dalla realizzazione della persona stessa. Il ‘sacrificio lavorativo’ non è sufficiente a giustificare cattive relazioni, disallineamento rispetto ai propri obiettivi e progetti personali o, peggio ancora, non aiuta a pagare tutte le bollette a fine mese, anzi.

Al tempo in cui le nuove generazioni vogliono dire la loro ed essere ascoltate poter scegliere se svolgere il lavoro o parte del lavoro in ufficio, a casa o altrove, diventa un KPI fondamentale per i lavoratori del XXI secolo nel decidere se restare o andare.

Per attrarre e trattenere questi lavoratori, i datori di lavoro devono fare i conti con i nuovi bisogni e valori del XXI secolo: ascoltare e comprendere le diverse priorità di tutte le persone, viste dal punto di vista dell’età, della fase di vita, del contesto sociale e famigliare, delle necessità economiche e professionali, e molto altro.

Conoscere e lavorare su queste dinamiche è solo l’inizio di un approccio strategico e proficuo. In caso contrario: smetto quando voglio (e posso)!

 

I. Pierantoni, febbraio 2024

:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

 


Seguici su:

     

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *