Come cambia e cambierà l’idea di lavoro nel prossimo futuro per le generazioni più giovani? Quale sarà la nuova etica professionale? Qualche segnale sta arrivando in modo chiaro e concreto. Certo non basta per farne un trend ma intanto impariamo a coglierlo.
Se chiedessimo ad un Baby Boomer cosa significa per lui “lavorare” vi darà una definizione che, spesso, è molto diversa da quella di un X Gen o anche di un Millennial.
Ma se lo domandassimo ad uno della Z gen? In particolare a qualcuno tra i più giovani Z gen, quelli, per capirci, che oggi hanno tra i 12 e i 15 anni e che, normalmente e legalmente, non sono, in età lavorativa ma che già sono in grado di fatturare da diverse decine di migliaia a milioni di Euro?
Di esempi ce ne sono molti, l’ultimo venuto alla ribalta è 100% italiano, nonostante il nome suoni come francese: lei è Charlotte M, ha 12 anni e milioni di followers tra You Tube, TikTok e Instagram. In pochi anni, grazie al supporto dei genitori, ha trasformato un gioco – postare i suoi contenuti autoprodotti (non immaginatevi chissà che, si tratta sempre di lei che canta, balla, esce con gli amici, racconta a suo modo la quotidianità di una teenager) sui social – in una vera e propria azienda.
In realtà è molto difficile credere che quello che fanno oggi i ragazzini di 12/15 anni attraverso i loro canali social sia destinato ad essere il “loro” lavoro del futuro, per due motivi principali: a quell’età si è in pieno cambiamento e non è detto che quello che sono oggi, sarà uguale, a quello che saranno domani e che il loro pubblico sia pronto a seguirli in questo cambiamento.
Sono loro, per primi, a non avere una visione del dopo, cosa che emerge in modo chiaro attraverso le interviste dove, alla classica domanda “come immagini il tuo futuro?“, i più non sanno rispondere, come è giusto che sia, se avete un dodicenne nei dintorni provate a fargli la stessa domanda, difficilmente il loro immaginario arriva a Natale, e non è che se la domanda viene posta a un sedicenne ci sia molta più chiarezza di idee.
La riflessione, però è un’altra: per quanto tempo potremo pensare al lavoro così come lo immaginano oggi gli adulti?
Anche solo la gestione del tempo:
per un Baby Boomer, in generale, si lavora da lunedì a venerdì, spesso per otto ore continuate, se c’è bisogno anche di più, con qualche sbavatura nell’orario, e di recente causa Covid-19 ha scoperto che si può fare anche fuori ufficio;
per un X Gen, il tempo del lavoro deve essere definito, perchè poi c’è il resto, e di sicuro trovare un equilibrio tra tempo privato e tempo professionale fa la differenza;
per un Millennial il fattore tempo conta in termini di progetto e obiettivo, se interessa e c’è un giusto ed equo riscontro economico e di merito ogni momento è valido per lavorare, ma poi c’è anche il tempo privato (concetto diverso da ‘tempo libero’ per questa generazione)
E gli Z Gen? Per questo gruppo esiste ed esisterà una differenza tra tempo di lavoro, tempo privato, tempo di gioco?
E ancora, se è possibile guadagnare divertendosi, a 12 anni, come possiamo immaginarli a 25, alle prese con un lavoro diverso, che magari non è più così divertente? Con delle tabelle di marcia, delle scadenze, degli orari da rispettare?
Ovviamente molte delle domande che ci facciamo sono provocatorie, sappiamo bene tutti che un cliente è un cliente: che tu abbia 12 o 50 anni, se stipuli un contratto ti troverai a misurarti con scadenze, tabelle di marcia, impegni da onorare e rispettare. Ma un conto è farlo dentro ad un contesto specifico (l’ufficio, davanti ad un pc, in fabbrica),un conto è farlo mettendoci dentro tutta la propria quotidianità, dal momento del risveglio a quello in cui ci addormentiamo con il libro che ci cade in malo modo sul naso, ricordandoci che, oltre a mettere il segno, dobbiamo spegnere la luce prima di dormire.
Francesca Praga, Isabella Pierantoni
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