Obiettivo: parità di genere per imprese italiane a prova di futuro

Mentre in Europa la strategia per la parità di genere è parte integrante delle politiche comunitarie, in Italia compare per la prima volta tra gli obiettivi programmatici del Governo per il quinquennio 2020/2025, solo la Grecia viene dopo di noi nelle politiche attuative relative all’implementazione strategica di questo obiettivo.

Ma perché non abbiamo mai creato una strategia per la parità di genere? Perché non abbiamo anche solo concretizzato le strategie europee che ci avrebbero permesso di trovarci – oggi – sicuramente in un’altra parte della classifica?

Queste e molte altre domande se l’è poste Linda Laura Sabbatini, Direttrice ISTAT e Presidente Women 20, durante un free speech sulla  Responsabilità Sociale in una prospettiva di genere, evento che è andato in diretta Facebook online il 26 marzo scorso dal titolo “Europa: sostantivo femminile” sulla ‘Città metropolitana di Bologna’. 

L’amara verità è che viviamo in un Paese in cui le donne fanno quotidianamente fatica a far comprendere ai più che la parità di genere è il primo passo (fondamentale) per l’avanzamento dell’Italia, sia in termini di crescita economica, che in termini di crescita demografica.

Che cosa ha bloccato lo sviluppo? Quali sono gli assi strategici su cui lavorare?

I dati sono per lo più drammatici: nel primo trimestre 2020 si sono registrati 470mila occupati in meno, se da una parte è vero che il calo occupazione è stato registrato in tutta Europa, dall’altra in Italia abbiamo registrato un calo percentuale maggiore che nel resto dei Paesi coinvolti. E se andiamo ad osservare il dato più da vicino, per quanto riguarda l’occupazione femminile, in Italia, siamo a quasi il doppio.

Come sempre il calo maggiore lo si registra tra i giovani  (-4,8% italiano contro -3,2% europeo) e nell’età centrale, quella cruciale per tracciare il futuro del Paese. Nei settori più tradizionalmente maschili il calo è stato minore (industria) quando addirittura non è aumentato (costruzioni), mentre nei settori  caratterizzati da una presenza più femminile (terziario) il calo è stato drammatico addirittura arrivando quasi al 100% nell’ultimo trimestre 2020, dove su 300 mila persone che hanno perso il lavoro ben 290 mila sono donne. In Europa invece il terziario avanzato – con occupazione prevalentemente femminile – è cresciuto.

Tra gli obiettivi del Recovery Found c’è quello di usare il 57% delle risorse su ambiti green e digitali, il che è fondamentale per lo sviluppo futuro del nostro Paese ma, ad esempio, perché non compaiono le azioni da fare sulla parità di genere? 

La risposta è semplice e disarmante allo stesso tempo, sempre secondo Linda Laura Sabbatini: perché in Europa questo è un non-problema, la parità di genere è stata raggiunta da tantissimi anni e il gap salariale e occupazionale quasi non esiste. Peccato che in Italia, e non solo, esiste eccome, basta guardare la tabella sotto. Ci sono anche le differenze per regione.

Riusciranno i nostri politici a recepire quindi non solo i paletti obbligatori posti dall’Europa ma anche quelli necessari per abbattere l’evidente gap di genere presente nel nostro Paese?

Riusciremo noi, X gen e Millennial, a non ritenere più “straordinaria” quell’azienda  che assume una donna incinta o che non domanda alle donne che programmi hanno per  il futuro (ben sapendo che la domanda non è legale ma usando la risposta come criterio di scelta) o, ancora, che davanti ad un “no grazie, rinuncio a questo posto perché sono una madre e non avrei lo spazio e il tempo per gestire  questo progetto” rispondono con un “non rinunciare, sappiamo che puoi farcela e anche se ci sono bambini  intorno a te mentre lavori per noi non è un problema”?

Sono tutte storie vere, ma l’ultima in particolare è una storia ancora più vera, perché è successa a me, che ho 41 anni e mi sono reinventata mille volte in questi ultimi 10 anni proprio per trovare una conciliazione tra lavoro e famiglia, tra le mie aspirazioni  lavorative e i bisogni casalinghi, tra il dovere verso il datore di lavoro e quello verso la famiglia. Perché in un anno di  pandemia ho inizialmente perso parte del mio lavoro e quando, non senza  fatica, sono riuscita a rimettere insieme  le cose e ripartire mi sono ritrovata a casa, con tre bambini in DaD e il terrore che, nuovamente, la scuola si facesse a casa e non nel luogo deputato per  farla. E allora, rispondere no, ad un nuovo lavoro, è sembrato quasi un atto dovuto. Per fortuna dall’altra parte ho trovato un’azienda fatta di persone, vere.

 

Francesca Praga

 

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