Quello che manca agli studenti italiani

Per una serie di coincidenze, negli ultimi 12 mesi mi sono trovato a lavorare con diversi studenti universitari. Prima, durante e dopo il lockdown, in presenza e a distanza, in occasione di corsi d’aula ma anche in qualche incontro individuale.

Tra la mia osservazione, le condivisioni e i feedback dei ragazzi stessi, ho visto emergere almeno un paio di costanti che trovo degne di considerazione. Di queste, una fa ben sperare nel futuro dell’umanità, l’altra preoccupa per il futuro – anzi: già per il presente – dell’Italia.

La buona notizia sta nella qualità e molteplicità delle risorse che i ragazzi dimostrano di avere dentro di sé. Nei loro ragionamenti e nella loro visione del mondo danno per scontato un orizzonte ampio e inclusivo, e lo fanno con cognizione di causa, perché moltissimi di loro hanno studiato all’estero, grazie all’Erasmus, agli scambi tra università, a scelte personali.

Le note dolenti riguardano invece il campo delle competenze, intese come quelle abilità trasversali già oggi considerate decisive: su tutte, team work e public speaking. Non a caso mi sono tornate in mente certe affermazioni udite da manager e imprenditori sul fatto che i neo-assunti, anche laureati, non sono pronti per il mondo del lavoro.

Nel senso che le aziende li trovano poco o per nulla allenati al lavoro in team: gestire le relazioni più diverse, partecipare ai dibattiti, mettersi in discussione con il giusto grado di assertività, e un sacco di altre cose che si imparano sostanzialmente vivendole.

Ma il sistema scolastico italiano a quanto pare non contempla questi aspetti. E quando capita di fare iniziative come quelle a cui ho partecipato, questi ragazzi scoprono un mondo nuovo.

Più di uno studente ha dichiarato di aver apprezzato la possibilità di lavorare in team perché “non siamo stati abituati a questo”. Nonché il disagio nel trovarsi a dover riferire a un’assemblea plenaria i lavori del suo gruppo. C’è da dire comunque che in genere hanno concluso di aver capito che sì, ce la possono fare.

E dunque: come stiamo preparando la generazione più giovane, in Italia?

Va bene dare loro le basi delle rispettive aree professionali, ma ormai lo sappiamo: da un lato i contenuti invecchiano nel giro di poco, dall’ altro l’Intelligenza Artificiale avanza sempre più.

Il posto degli esseri umani, nella società post-industriale, sta salendo al piano superiore: quello strategico, quello del coordinamento, della creazione di senso, della creatività. Ciò che le organizzazioni chiedono, e chiederanno sempre più, sono competenze di metodo, intelligenza sociale, capacità di cooperazione.

Finché la scuola non formerà i ragazzi su queste cose, sarà sempre una scuola fuori dal mondo. Non dico solo dal mondo del lavoro: dico proprio fuori dal mondo, tout-court.

Mattia Rossi

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