La logica dello scontro non è più un effetto collaterale del dibattito pubblico, ma un vero e proprio strumento di costruzione della visibilità e del potere.
È il paradosso della visibilità: più sei divisivo, più sei rilevante e coinvolgente. Nel contesto mediatico di oggi, infatti, la visibilità è il vero capitale e si alimenta di tensioni, di reazioni emotive forti, di un senso di urgenza che spinge le persone a interagire. Generare indignazione è molto più virale dell’ispirazione.
Per questo i leader oggi, che siano politici o personalità pubbliche, non cercano solo di aggregare sostenitori: cercano di generare opposizione. Perché? Perché ogni attacco subito, ogni critica, ogni ondata di indignazione contribuisce a rafforzare la loro centralità nella conversazione pubblica.
Un nuovo tipo di leader
Questa dinamica ribalta in parte la concezione classica del leader carismatico descritta da Max Weber, secondo cui il carisma è una qualità straordinaria attribuita a un leader da una comunità di seguaci che gli riconoscono la qualità di guida eccezionale, capace di ispirare fiducia e devozione.
Oggi, invece, il carisma non si basa solo sulla capacità di aggregare e ispirare speranza, ma sulla divisione: per un leader carismatico del nostro tempo non è dunque strategico solo costruire una fanbase, un seguito di sostenitori, ma anche una “hater-base”, ovvero un gruppo di oppositori che contribuiscono involontariamente ad amplificare la sua leadership mediatica.
Le nuove generazioni, nate e cresciute nell’era digitale, hanno interiorizzato la logica del conflitto come parte del linguaggio quotidiano.
La Gen Z e i Millennials sono immersi in un ecosistema in cui engagement e rilevanza dipendono dalla capacità di generare reazioni forti. Il dibattito online non è più solo un luogo di scambio di idee, ma un’arena in cui posizionarsi, prendere parte a una fazione e contribuire a una narrazione collettiva. In questo contesto, il leader è colui che sa accendere le discussioni, che non cerca il consenso universale, ma la fedeltà di una parte e il rifiuto dell’altra. D’altro canto, anche le generazioni più adulte, come i Baby Boomers e la Gen X, sono sempre più attratte da figure divisive. Dopo anni di crisi di fiducia nelle istituzioni, molti cercano leader che rompano gli schemi, che sfidino l’establishment e che, nel farlo, attirino inevitabilmente critiche e opposizioni. Per loro, il carisma passa anche attraverso la capacità di resistere agli attacchi, trasformando il dissenso in una prova di forza.
Brand divisivi: rischio o strategia?
Questa dinamica ha riguardato non solo la politica, ma anche i brand, che intorno agli anni 2000 hanno creato narrazioni sempre più divisive, mentre oggi sembrano riscoprire l’importanza di toni più equilibrati ispirati da strategie che uniscono. Molti ricorderanno la campagna del 2018 di Nike con Colin Kaepernick, il caso del gelato Ben & Jerry’s, che da anni porta avanti una comunicazione apertamente politica, o le provocazioni fashion di Balenciaga con la sua borsa in stile “IKEA” da 2000 dollari o la collezione di scarpe distrutte che hanno generato conversazioni polarizzanti sul concetto stesso di lusso e moda.
Ma questa strategia ha un costo: genera identità forti, ma anche un inevitabile senso di frattura. Il brand smette di essere uno spazio inclusivo e diventa una bandiera, una dichiarazione di appartenenza. E oggi che lo scontro è diventato tangibile – penso alle guerre in atto, allo scontro istituzionale e all’acceso dibattito geopolitico – le marche leader riscoprono il valore della moderazione e delle narrazioni basate su identità condivise e valori forti, che creano community fedeli.
Lo scontro è veloce, la speranza è lenta
Il vero punto è che, nel sistema mediatico attuale, lo scontro, l’attacco, la leva della paura sono strumenti efficacissimi per creare un dibattito in tempi velocissimi, mentre costruire consenso attraverso l’ispirazione, la positività e la speranza richiede una strategia di lungo periodo e un patto di fedeltà con la propria fanbase, basato su trasparenza e onestà.
Inoltre, in un mondo in cui molti mostrano i muscoli, giocano con le paure delle masse e raccontano l’inciviltà, la mancanza di rispetto e la violenza come fossero sinonimi di coraggio, la speranza può suonare come buonismo.
Eppure, alcuni brand hanno dimostrato che la speranza può essere altrettanto potente dello scontro, se viene raccontata con audacia.
- Apple non vende solo tecnologia, vende il potere della creatività umana.
- L’Oréal non vende solo cosmetici, ma dà potere a ogni donna, invitandole a riconoscere il loro valore unico.
- LEGO non vende semplicemente giocattoli, ma la promessa di un futuro costruito attraverso l’immaginazione e l’educazione.
La speranza è audace
Ma per funzionare, questa narrazione basata sulla speranza non può limitarsi a uno slogan ottimista: deve essere tangibile, urgente, audace, tanto quanto lo sono rabbia e paura. Deve essere un racconto che non solo ispira, ma che mobilita, spingendo le persone ad agire e facendole sentire orgogliose di una scelta radicale:
credere nelle possibilità invece che nel cinismo, costruire invece di distruggere.
Per questo, la vera sfida per i brand del futuro non sarà solo decidere da che parte stare, ma capire come rendere la speranza altrettanto potente, urgente e altrettanto virale della rabbia.
Perché, se il conflitto genera visibilità immediata, la capacità di trasformarla in fiducia è ciò che distingue una leadership effimera da una che lascia davvero il segno.
Enrico Buongrazio, Strategy lead, specializzato in future studies, activist
Marzo, 2025
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