Ribaltare la prospettiva: il conflitto generazionale come leva strategica

Spesso le aziende trattano la Generational Diversity come un problema da risolvere o, peggio, una cosa fatta sulle mode del momento. Ma gli attriti o i conflitti che possono derivare dalla convivenza di più generazioni non sempre rappresentano un ostacolo, al contrario possono rappresentare il motore dell’evoluzione sociale e organizzativa. Ignorare questa possibilità o tentare di normalizzarla, significa rinunciare alla possibilità di trasformare le tensioni in innovazione, soprattutto considerando i nuovi modelli organizzativi nati degli ultimi anni.

E se il mondo del lavoro fosse l’innesco di un dialogo non per “accontentare tutti”, ma per mettere in relazione visioni nate in tempi diversi al fine di costruirne di nuove, più sostenibili per tutti?

La proposta: un laboratorio intergenerazionale permanente di ascolto sul presente e sul futuro

Le aziende, ossia le persone che ci lavorano e vivono, cercano “manuali di istruzioni” per tutto – anche questo, in un certo senso, è un residuo generazionale – anche per gestire le generazioni. In realtà, quello che davvero serve è la capacità di costruire un vero e proprio

ecosistema adattivo, un laboratorio generazionale permanente in cui le differenze siano “la” risorsa creativa di partenza per analizzare e meglio comprendere i cambiamenti del mercato, delle relazioni, dei contesti in generale e, soprattutto, un ambiente nel quale proprio le differenze forniscano lenti prospettiche per scenari futuri.

Questo comporta un faticoso lavoro di cambiamento culturale nel tempo e una conseguente e ineluttabile responsabilità politico-sociale delle aziende che oggi non possono più evitare di prendere, sia per avere profitti che per restare nel business.

Le generazioni più giovani sanno riconoscere chi si muove per mero interesse speculativo ma, ancora di più, hanno un obiettivo di lungo termine che riguarda la loro sopravvivenza sul pianeta. Inoltre, sanno fare comunità globale.

I principali punti di cambiamento che le aziende e organizzazioni dovrebbero presidiare in modo attivo e permanente riguardano, solo per cominciare, la necessità di:

  • ridefinire il concetto di leadership, andando oltre la leadership situazionale generazionale: non più una figura unica e centralizzata, ma un processo distribuito che valorizzi la saggezza e l’esperienza dei Baby Boomers, la pragmatica flessibilità e capacità di pianificazione della Gen X e il dinamismo digitale e comportamentale di Millennials e Z.
  • Progettare spazi di lavoro multigenerazionali: non solo fisici, ma culturali, in cui i team siano costruiti per massimizzare la varietà di approcci e soluzioni che solo un’intelligenza generazionale mista riesce a cogliere.
  • Rendere il futuro un tema condiviso: quasi sempre, il dialogo e il confronto tra generazioni si arena sul passato o sul presente. Spostare il focus sul futuro – sulle visioni, sulle speranze e sulle paure che ciascuna generazione associa a ciò che verrà – può diventare il vero collante per la coesione e l’innovazione. È qui che nasce il tema dell’equità generazionale.
  • Divenire agenti di cambiamento socio-culturale: contribuire alla crescita dei propri dipendenti a più livelli, individuale e collettiva, fornendo non solo formazione tecnica e o relazionale, ma anche strumenti per interpretare l’epoca in cui vivono attraverso progetti di alfabetizzazione socio-demografici e anticipanti.
Oltre la diversity: il coraggio della Generational Equity

La vera sfida non è riconoscere la diversità, ma garantire equità generazionale. Questo significa andare oltre gli stereotipi e le facili etichette che circolano sulle generazioni, online e offline, e affrontare i nodi strutturali:

  • Ridisegnare i percorsi di carriera: superare la crescita verticale ancora dominante in un’epoca in cui i giovani sono preparati e richiedono, invece, salti orizzontali e progettualità partecipativa a breve-medio termine.
  • Ripensare il welfare aziendale: Come possono le aziende pensare di attrarre e trattenere, o addirittura motivare, la Gen Z che vede il burnout come un nemico, oppure la X Gen che si trova spesso a gestire genitori anziani e figli adolescenti contemporaneamente, con modelli di attraction e wellbeing obsoleti?
  • Investire nella formazione intergenerazionale: Non corsi occasionali, ma un’educazione continua che trasformi la coesistenza generazionale in una competenza fluida e strategica a disposizione di tutti e in ogni fase della vita.
  • Offrire educazione finanziaria: legata all’età e alle fasi vita, per garantire un orizzonte di futuro allineato alle esigenze di qualità di vita e di salute in un secolo fortemente compromesso dalla transizione demografica, ma anche dalle opportunità e dai rischi della longevità, oltre che dalle crisi economiche glocali.
Il futuro è una questione di coesione intergenerazionale

In ultima analisi, il valore della Generational Diversity non si esaurisce nel perimetro aziendale, al contrario gioca un ruolo sistemico. Riconoscere le generazioni come forze del cambiamento significa costruire un ponte tra il mondo del lavoro e la società, ponendo le basi per gestire il presente e preparare il futuro.

Le organizzazioni possono e devono diventare agenti di trasformazione culturale, educando ad una convivenza generazionale che vada oltre gli stretti confini delle riunioni o dei progetti.

Siamo abituati a pensare al futuro come qualcosa che riguarda solo i giovani. È un errore.

Il futuro appartiene a tutte le generazioni, perché è il frutto della somma di visioni, desideri e azioni. Investire nella Generational Diversity non è solo una scelta strategica: è un atto di responsabilità verso il mondo che vogliamo costruire insieme.

 

I. Pierantoni, gennaio 2025

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