Superare il Gender Balance

Con lo scorrere delle generazioni, le sensibilità e le richieste che le donne hanno portato nel mondo del lavoro stanno cominciando a diventare patrimonio comune di tutti: i Millenials per certi motivi, i Boomers e gli X Gen per altri, tutti si stanno incontrando sul terreno comune di un nuovo modo di concepire e di vivere l’organizzazione aziendale. Silvia Rigamonti ci accompagna lungo la strada che dalle prime rivendicazioni delle donne al lavoro porta verso lo smart working  del XXI secolo.

Dicembre, ultimo mese dell’anno, è il tipico momento dei bilanci.

Ma noi abbiamo aspettato gennaio, il primo mese dell’anno, perché, dopo esserci (doverosamente) guardati indietro, preferiamo condividere la prospettiva verso il futuro. E dunque: che cosa ci portiamo nel nuovo anno? Quali spunti di novità?

Ne ho parlato con la nostra Silvia Rigamonti, che gode di un punto di osservazione privilegiato su molteplici aspetti della diversity grazie alla sua posizione di Board Member e Mentoring Program Director di PWA Milan, associazione no-profit impegnata nel promuovere il gender balance nelle organizzazioni aziendali. E il primo stimolo per il 2017 riguarda proprio il concetto di “gender balance”: lo evochiamo sì, ma per superarlo. Silvia ce lo spiega così:

Durante un evento a Milano ho potuto ascoltare un intervento di Avivah Wittenberg-Cox, consulente e coach, forse la principale specialista al mondo su queste tematiche. Il messaggio è stato: non parliamo più di gender balance, quanto piuttosto di gender inclusion. Più che pensare a un bilanciamento tra elementi distinti, è il momento di sviluppare la consapevolezza che siamo tutti sulla stessa barca e ragionare quindi in termini di convergenza e integrazione di tutte le risorse disponibili. Inclusione, appunto, nella medesima squadra.

E’ tempo, insomma, di fare il secondo passo, laddove il primo è stato quello di far emergere e dare spazio alle esigenze specifiche delle donne lavoratrici nella società e nel modello di lavoro del XX secolo. Dice Silvia:

Abbiamo visto sempre più aziende prendere in considerazione le donne, fornire loro risorse e formazione per aiutarle a valorizzare il loro ruolo e trovare la loro strada. Ciò è positivo, ma nasconde un limite: vedo come una sorta di delega da parte delle aziende, che sembrano dire alle donne: ‘io le possibilità te le dò, poi vedi tu’.

Insomma, siamo ancora all’ esterno dell’azienda: quest’ultima lascia fare, ma non agisce in prima persona. Le donne hanno una maggiore sensibilità verso lo sviluppo delle persone, mentre molto spesso le culture aziendali sono più, diciamo così, ‘funzionali’, cioè focalizzate sull’utilità operativa immediata.

Lo sforzo allora deve essere quello di trovare il linguaggio adatto per farsi capire dalla cultura ‘maschile’ che ancora caratterizza molte aziende, così che queste recepiscano anche la sensibilità ‘femminile’ e si attivino direttamente per stimolare la crescita di tutte le loro persone. Però c’è anche un’altra via: un cambiamento culturale sostanziale delle aziende, oggi tutt’altro che impossibile perché con lo scorrere delle generazioni questi approcci mentali stanno scavalcando i confini di genere.

Cioè stai dicendo che gli uomini cominciano a pensare come le donne e viceversa?

Quelle che fino alla X Gen – chi oggi ha tra i 36 e i 50 anni- sono sostanzialmente esigenze delle donne, oggi stanno diventando richieste di tutti, donne ma anche uomini.

Specialmente i Millenials mostrano una maggiore richiesta di flessibilità e umanità a prescindere dal genere di appartenenza.  I maschi appaiono molto più collaborativi, inclusivi, portati all’ ascolto e al rispetto reciproco: li vedo decisamente a disagio dentro ambienti in cui ancora vige l’approccio ‘mors tua vita mea’ più diffuso in alcuni stili manageriali di generazioni precedenti. 

Dobbiamo affidarci ai giovani, allora?

I Millenials sono senz’altro cresciuti in un contesto socio-culturale che per dinamismo, respiro internazionale e pervasività dell’innovazione ha favorito fin da subito approcci profondamente diversi da quelli delle generazioni precedenti. Ma a questo punto anche Boomers e X Gen stanno cominciando a fare i conti con qualcosa di nuovo:

  • l’età media dei lavoratori è sempre più alta, con tutto ciò che ne consegue in termini di energie e di esigenze psico-fisiche;
  • allo stesso tempo a casa ci sono sempre più anziani da accudire con sempre meno supporto, famigliare e istituzionale.

Esigenze e stimoli diversi che però sulle organizzazioni hanno una ricaduta simile: cioè, è sempre più difficile avere sempre tutti quanti in ufficio dalle 9 alle 17 (e oltre) per tutta la settimana. E allora diventa opportuno usare come punto di riferimento non più l’orario d’ufficio, ma il raggiungimento degli obiettivi.

Flessibilità, personalizzazione, lavoro per obiettivi… comincio a sentire profumo di smart working o sbaglio?

Non sbagli. I giovani lo chiedono fin da subito, gli anziani lo scoprono e imparano ad apprezzarlo. Chiariamo bene che smart working non significa semplicemente ‘lavorare da casa’, bensì ripensare il concetto di organizzazione aziendale in modo che vi sia spazio per tutto quanto abbiamo detto finora, sfruttando le opportunità create solo di recente dalle nuove tecnologie digitali. Di fatto, lo smart working recupera i principi del lavoro femminile e li eleva a normalità per tutti, grazie a due fattoriuna nuova consapevolezza culturale, la comparsa di strumenti che rendono possibile operare di conseguenza.

Questo scenario costituisce una grande opportunità per le aziende: rispetto al part-time, dove facilmente si rischia di trovarsi messi un po’ in disparte, un lavoratore smart continua ad essere e a sentirsi un ‘titolare’ della squadra, con le ovvie conseguenze positive in termini di motivazione personale e presenza ‘sul pezzo’.

Sembra troppo bello per essere vero…

Il punto è che anche questo tipo di organizzazione ha i suoi punti di attenzione: abbiamo constatato che perché essa funzioni davvero deve essere sposata e praticata ad ogni livello aziendale. Fondamentale è l’esempio di un capo che crede davvero allo smart working tanto da applicarlo lui stesso per primo. Inoltre questo tipo di attività deve essere valutato su entrambe le direzioni: dal basso per capire se il bisogno del lavoratore è soddisfatto davvero; dall’alto per capire se effettivamente il team ha risultati migliori, maggiore creatività, un capo meno stressato.

 

Mattia Rossi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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